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Allarme autonomia differenziata: rischio di un servizio sanitario a più velocità

L’autonomia differenziata tra regioni, se applicata alla sanità, rischia di compromettere seriamente il diritto costituzionale alla tutela della salute per tutti i cittadini italiani. È quanto emerge da un report della Fondazione GIMBE, che analizza le richieste di maggiore autonomia avanzate da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto per la gestione della sanità locale.

Il documento evidenzia come l’attuazione di queste autonomie sia destinata ad amplificare le già gravi diseguaglianze esistenti nel Servizio Sanitario Nazionale (SSN), mettendo a repentaglio i suoi principi fondanti di universalità ed equità. Benché i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) fossero stati introdotti proprio per garantire standard uniformi su tutto il territorio nazionale, i dati dimostrano la persistenza di inaccettabili divari regionali, con un gap strutturale tra Nord e Sud che su molti indicatori è addirittura peggiorato negli anni.

Le tre regioni che hanno avanzato la richiesta di maggiori autonomie, Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, si collocano tutte nel quartile con la migliore erogazione dei LEA nel periodo 2010-2019. Al contrario, nessuna regione del Sud e solo due del Centro rientrano nei due quartili più virtuosi. La mobilità sanitaria conferma questo squilibrio, con un saldo negativo di 14 miliardi di euro in 10 anni per 13 regioni quasi tutte del Centro-Sud, contro i saldi positivi di Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e Veneto.

Secondo il rapporto, l’attuazione delle maggiori autonomie richieste dalle regioni con le migliori performance sanitarie è inevitabilmente destinata ad amplificare le diseguaglianze di un SSN oggi universalistico ed equo solo sulla carta. Tra le autonomie richieste, alcune appaiono francamente “eversive” rispetto al SSN, come la possibilità di istituire fondi sanitari integrativi regionali o la contrattazione integrativa regionale per il personale.

Una consultazione GIMBE che ha coinvolto quasi 4.000 stakeholders della sanità ha evidenziato preoccupazioni per l’irreversibilità del processo, l’imprevedibilità delle conseguenze e l’ulteriore spaccatura Nord-Sud. Per gli autori dello studio, il regionalismo differenziato finirà per legittimare normativamente e in maniera irreversibile il divario tra Nord e Sud, violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute.

Tre sono quindi le problematiche principali che questa autonomia differenziata potrebbe generare nell’ambito dell’assistenza sanitaria:

  • rischio di disuguaglianze amplificate: l’autonomia differenziata potrebbe accentuare le diseguaglianze già presenti nel Servizio Sanitario Nazionale (SSN), compromettendo i principi di universalità ed equità. Queste regioni, avendo già le migliori performance sanitarie, potrebbero ulteriormente distanziarsi dalle regioni con prestazioni inferiori, in particolare quelle del Sud Italia;
  • impatto sulla mobilità sanitaria: la mobilità sanitaria potrebbe risentirne negativamente, con regioni del Centro-Sud che registrano saldi negativi, a fronte di saldi positivi per le regioni del Nord che hanno richiesto maggiore autonomia. Questo squilibrio finanziario potrebbe tradursi in una qualità e accessibilità dei servizi sanitari inferiore per i cittadini delle regioni meno abbienti;
  • violazione del principio costituzionale: Secondo il rapporto, l’autonomia differenziata potrebbe violare il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute, creando un divario normativo e irreversibile tra Nord e Sud Italia.

La Fondazione GIMBE con questo documento invita quindi il Governo a espungere la “tutela della salute” dalle materie su cui le regioni possono richiedere maggiori autonomie. In alternativa, un’eventuale attuazione del regionalismo differenziato in sanità dovrà colmare prima il gap strutturale tra Nord e Sud, modificando i criteri di riparto del Fondo Sanitario Nazionale e aumentando le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle regioni. Altrimenti, si rischia di trasformare la sanità in un bene pubblico per i residenti al Nord e in un bene di consumo per le altre regioni, il cui accesso dipenderebbe dalle risorse disponibili.