consenso informato tra presente e futuro

Tempo di comunicazione, tempo di cura: il consenso informato tra presente e futuro

“Il consenso informato continua a interpellare la nostra sanità, sollevando non solo problematiche giuridiche e deontologiche con ovvie implicazioni anche in termini di responsabilità, ma soprattutto aspetti che riguardano la comunicazione, il dialogo, quella relazione, insomma, che chiamiamo giustamente alleanza terapeutica tra medico e paziente”.

Con queste parole Gabriele Chiarini, Avvocato e Presidente Fondazione Sanità Responsabile, ha dato il via al webinar “Oltre la firma, ripensare il consenso informato tra prospettive cliniche, tecnologiche e legali” che si è tenuto lo scorso 18 settembre.

L’incontro, moderato dal professor Vincenzo Antonelli, docente di diritto amministrativo presso l’Università di Catania e coordinatore del comitato scientifico della Fondazione, ha visto la partecipazione di esperti di diversi settori:  l’avvocato Elena Bassan, Isabella Mori di Cittadinanza Attiva (responsabile tutela e trasparenza), Roberto Carlo Rossi, presidente dell’Ordine dei Medici di Milano, Giuseppe Deleo, medico legale e consigliere dell’Ordine dei Medici di Milano, e Francesca Aurora Sacchi, avvocata e membro della SIAM (Società Italiana Intelligenza Artificiale in Medicina).

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Guarda il video completo del webinar “Oltre la firma, ripensare il consenso informato tra prospettive cliniche, tecnologiche e legali” sul canale YouTube di Fondazione Sanità Responsabile

Il consenso informato è il cuore dell’assistenza sanitaria

Il professor Antonelli ha aperto i lavori inquadrando il consenso informato come “il cuore dell’attività assistenziale” e momento centrale della relazione di cura. Ha evidenziato come si sia passati da una relazione paternalistica a una basata sulla comunicazione, fino ad arrivare oggi a forme di negoziazione e, in alcuni casi, di conflittualità.

Da pratica clinica regolata dal codice deontologico, il consenso è diventato materia di legge statale, culminando nella legge 219/2017. “Il momento patologico ha preso il sopravvento sul momento fisiologico”, ha osservato Antonelli, riferendosi al fatto che spesso è la giurisprudenza sulla responsabilità a interpretare il consenso informato.

La prospettiva del medico: relazione di cura e alleanza terapeutica

Il dottor Roberto Carlo Rossi ha esordito citando l’articolo 1, comma 2 della legge 219:

“È promossa e valorizzata la relazione di cura di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico”.

Rossi ha sottolineato inoltre l’importanza di un “buon rapporto medico paziente” che resta “un elemento imprescindibile” anche se asimmetrico: io sto male e vado dal medico che può curarmi, perché io da solo non posso. Questa è l’asimmetria, di posizione e di contenuto.

Rossi ha poi raccontato un caso emblematico di una paziente con tumore ovarico che, dopo un lungo colloquio, “ha scelto volontariamente di non far nulla” ed “era serena in questo”. Il medico, ha spiegato, deve “stare lì a spiegare al paziente qual è la cosa che secondo lui è meglio e perché”. Ma è il paziente a scegliere cosa fare.

Rossi ha criticato sia i “prestampati, fotocopie con una firma scarabocchiata” sia “i consensi lunghi quanto un libro” di derivazione statunitense, definendoli “due aberrazioni, due facce della stessa medaglia”.

Il consenso informato, ha concluso, “deve dimostrare più che altro che il dialogo fra medico e paziente è avvenuto, come “due entità sovrane che devono dialogare e mettersi d’accordo”.

Gli errori più frequenti dal punto di vista legale

L’avvocato Elena Bassan ha identificato gli errori più comuni nella gestione del consenso informato. “Innanzitutto quello della mancata informazione o dell’informazione inadeguata”, ha spiegato, ricordando che “il paziente ha diritto di essere informato delle sue condizioni di salute e questa informazione deve essere completa, aggiornata e a lui comprensibile”.

Particolarmente rilevante è il tema dell’informazione sui rischi: “Al paziente devono essere date tutte le informazioni in relazione ai rischi probabili, possibili, comunque non imprevedibili, con la sola esclusione dei rischi anomali, al limite del fortuito”.

L’avvocato Bassan ha citato una recente sentenza del Tribunale di Rimini che ha posto l’accento su un punto cruciale: “Quando in itinere cambiano le condizioni del paziente ed emergono degli elementi di rischio nuovi, non è sufficiente quell’informativa e quel consenso manifestati all’inizio”. Nel caso specifico, si trattava di tre biopsie eseguite sullo stesso paziente, in relazione alle quali era stato raccolto il consenso solo per la prima.

L’avvocato ha criticato “i moduli di consenso per tutte le stagioni”, assolutamente generici, ricordando che “l’onere della prova va a finire sul medico e sulla struttura sanitaria, che devono provare di aver adeguatamente informato il paziente”.

Ha concluso sottolineando che “il tempo di comunicazione è tempo di cura” e che le strutture devono adottare “adeguate modalità organizzative” per garantire formazione continua del personale.

Consavio: l’innovazione al servizio della relazione di cura

Il consenso informato evolve: con Consavio, medici e pazienti possono creare, comprendere e firmare moduli digitali in modo chiaro, sicuro e conforme alle normative.

Il medico legale: tra clinici e giuristi

Il dottor Giuseppe Deleo ha descritto la propria posizione come “a metà strada tra i clinici e i giuristi”, aggiungendo che “il medico legale è sempre quello che cerca di far parlare questi due mondi e, in generale, quando c’è qualche grana”.

De Leo ha ammesso: “Va detto: il consenso informato, dai miei colleghi clinici, è tutt’oggi vissuto abbastanza male. Come una sorta di “tagliola”.” Per De Leo, il fatto che ci abbia dovuto mettere mano la magistratura è proprio il segno di questa debolezza intrinseca dello strumento, evidentemente poco compreso – e voluto? – soprattutto da quel mondo di clinici che dovrebbe usarlo.

Il medico legale ha evidenziato la confusione che regna anche nei tribunali: “Incontri dieci giudici, con dieci atteggiamenti diversi rispetto al consenso informato”. Alcuni chiedono una valutazione dettagliata, altri ritengono non sia materia medico-legale, altri ancora lo considerano implicito nella buona pratica medica.

Tra gli errori più comuni ha citato: moduli generici ciclostilati, mancanza di specificazione dei rischi reali del caso, assenza di firma o data. “Gli spazi bianchi, per esempio, in quei ciclostilati brutti da cui si capisce che c’è stato un colloquio, che è stata fatta una domanda in termini semplici, sono apprezzati dai pubblici ministeri più di “sovrainformazioni” lunghe e standardizzate”.

De Leo ha suggerito strumenti pratici come “farsi spiegare dal paziente cosa ha capito” alla fine del colloquio, checklist personali simili a quelle dei piloti d’aereo, e soprattutto ha ribadito la necessità  di formazione dei giovani e del personale.

La voce dei cittadini: oltre la burocrazia

Isabella Mori di Cittadinanza Attiva ha portato la prospettiva dei pazienti, ricordando che la loro associazione “lavora da sempre sull’empowerment dei cittadini”. Ha sottolineato come il consenso informato sia stato al centro della Carta europea dei diritti del malato“, una carta che è nata dal basso, in cui venivano messi insieme tutta una serie di diritti”.

Purtroppo, ha osservato, “il consenso ad oggi non è realmente informato, al di là di qualche punta di eccellenza. In via generale, sul tema c’è ancora molto da fare”.

Mori ha elencato le carenze più frequenti segnalate dai cittadini: informazioni date “in stanze con altri pazienti oppure nei corridoi”, consensi fatti firmare “prima di entrare in sala operatoria”, mancanza di “tempo adeguato al dialogo tra medico e paziente” e di “spazi adeguati e rispettosi della privacy”.

Ha ribadito che “il consenso deve essere un processo dinamico, deve essere un processo continuo” e che “la base, la focalizzazione di questa tematica rimane il rapporto medico-paziente”. Infine, ha ricordato l’impegno dell’associazione su temi come le fake news e la necessità di “maggiore empowerment” anche da parte dei pazienti.

L’intelligenza artificiale: nuove sfide e opportunità

Tra gli interventi più attesi, c’è stato quello dell’avvocato Francesca Aurora Sacchi, che ha portato la discussione verso le frontiere dell’intelligenza artificiale e la sua implicazione all’interno della relazione medico-paziente. Sacchi, che lavora da tre anni negli Stati Uniti, ha evidenziato aspetti paradossali: “I pazienti spesso vedono l’intelligenza artificiale quasi come più empatica. Pensano: finalmente io paziente ho di fronte questa “persona” che ha tutto il tempo del mondo per rispondere alle mie domande”.

L’AI colma quel vuoto, quella mancanza di tempo tipica ormai di tutta la categoria dei professionisti sanitari. Tempo che invece per i pazienti è fondamentale. Per questo Sacchi avverte: “Quella dell’AI è un’empatia finta, perché non sto parlando realmente con una persona. I rischi principali riguardano i bias contenuti nei dataset e la possibilità di informazioni incomplete o fuorvianti. L’intelligenza artificiale non dovrebbe essere percepita come una terza figura, ma come uno strumento che il medico e il paziente possono utilizzare all’interno della loro relazione”.

Sacchi ha affrontato il tema centrale della trasparenza e della spiegabilità, citando i sistemi “black box” dove “lo stesso sviluppatore non è in grado di spiegare che cosa succeda e come l’AI arrivi a un determinato ragionamento”.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità suggerisce di utilizzare comunque sistemi di cui si può dimostrare l’efficacia, anche se non completamente comprensibili, mentre l’AI Act europeo richiede esplicitamente trasparenza e spiegabilità per i casi ad alto rischio, “come qualunque cosa nella sanità”, ha aggiunto Sacchi.

Una possibile soluzione sono i “modelli open weight”, dove “sono spiegati i parametri utilizzati dall’intelligenza artificiale per emettere il suo giudizio”.

Nelle conclusioni, Sacchi ha portato un messaggio di speranza: “Tre anni fa la Società Italiana di Intelligenza Artificiale In Medicina non esisteva. Io faccio parte del consiglio direttivo. Ad oggi abbiamo più di 500 membri”. La chiave, ha sottolineato, è costruire la fiducia “che non può essere imposta per legge, non cade dal cielo, va costruita quando tutti gli attori sono coinvolti”.

Il webinar si è concluso con l’impegno della Fondazione a continuare il dibattito su questi temi, fondamentali per garantire che il consenso informato rimanga, come auspicato, parte essenziale della cura anche in questa era che pare dominata dall’intelligenza artificiale.

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