Con la sentenza n. 40316 del 4 novembre 2024, la Corte di Cassazione ha stabilito che il mero rispetto delle linee guida previste dalla legge Gelli-Bianco non è sufficiente a esonerare i medici dalla responsabilità penale. Occorre infatti valutare sempre il caso specifico e agire di conseguenza.
Il caso dell’ospedale Santo Bambino
La vicenda ha avuto origine nella notte tra il 28 e il 29 luglio 2009 presso l’ospedale Santo Bambino di Catania. Una paziente, già sottoposta a due cesarei precedenti e ricoverata per dolori pelvici, non ricevette il monitoraggio cardiotocografico continuo necessario, nonostante la sua condizione di rischio.
La mancata diagnosi tempestiva di una possibile rottura dell’utero portò al decesso del feto dopo ore di sofferenza. Inizialmente, la Corte d’Appello di Catania aveva condannato entrambi i medici di turno per cooperazione colposa. Tuttavia, dopo l’annullamento della sentenza da parte della Cassazione per vizi di motivazione, il processo si è concluso con l’assoluzione di uno dei due imputati, mentre è stata confermata la condanna per la ginecologa che non aveva predisposto le necessarie misure di sorveglianza clinica.
Le motivazioni della condanna
La Corte ha individuato diversi elementi chiave che hanno portato alla condanna della ginecologa:
- L’imperizia nella gestione di una paziente ad alto rischio: la presenza di due precedenti cesarei, le algie pelviche e i segni premonitori di travaglio richiedevano un monitoraggio più attento.
- Il nesso causale tra l’omissione del monitoraggio continuo e il decesso del feto: la mancata sorveglianza ha impedito una diagnosi tempestiva della sofferenza fetale e della rottura uterina.
- La necessità di superare le linee guida standard: sebbene le linee guida del 2012 non prevedessero esplicitamente il monitoraggio continuo in situazioni simili, le condizioni specifiche della paziente richiedevano misure più cautelative.
Il nuovo orientamento giurisprudenziale
La sentenza segna un punto di svolta nell’interpretazione della legge Gelli-Bianco del 2017, allineandosi peraltro con le indicazioni della Commissione ministeriale presieduta dal magistrato Adelchi d’Ippolito. La decisione chiarisce che le linee guida, pur essendo strumenti fondamentali, non hanno carattere vincolante e devono essere integrate con un’attenta valutazione dei rischi specifici di ogni caso. Attenersi alle linee guida non può rappresentare l’unico criterio per determinare la sussistenza di un risvolto penale in un processo per responsabilità sanitaria.
Implicazioni per la pratica medica
La sentenza sottolinea tre punti fondamentali per i professionisti sanitari:
- La necessità di adattare le linee guida alle circostanze specifiche, dimostrando flessibilità e capacità di giudizio clinico.
- L’importanza di documentare accuratamente le scelte cliniche per tutelarsi in caso di controversie.
- L’obbligo di mantenersi aggiornati sulle evoluzioni delle linee guida e della giurisprudenza in materia.
Verso una medicina personalizzata
La decisione della Cassazione riflette la necessità di un approccio più flessibile e adattabile alle singole situazioni cliniche. Come sottolinea la Corte, stabilire parametri troppo rigidi di responsabilità non funziona in campo medico. Le linee guida restano un criterio di massima, ma devono essere applicate tenendo conto delle specificità di ogni caso e privilegiando l’aderenza alle buone pratiche clinico-assistenziali personalizzate.
Questa sentenza rappresenta quindi un importante passo verso una valutazione più equilibrata della responsabilità medica, che tiene conto sia della necessità di tutelare i pazienti sia dell’esigenza di permettere ai medici di esercitare la loro professione con la dovuta attenzione alle particolarità di ogni caso clinico.